L’autrice Elvira Seminara, la “cantastorie” capace di trasformare e dare una nuova vita agli scarti

L’autrice Elvira Seminara, la “cantastorie” capace di trasformare e dare una nuova vita agli scarti

- in Barrafranca




Lunedì 5 settembre è arrivato a Barrafranca “Atlante degli abiti smessi”, romanzo di Elvira Seminara, pubblicato per Einaudi a Ottobre 2015.
Ad aprire le porte dell’armadio sterminato di Eleonora, protagonista del romanzo, è stata proprio la Seminara che ha dialogato con Giuseppe Rabita e Aureliana La Pusata, guidandoci attraverso le pagine del suo romanzo. Un romanzo con una struttura narrativa sui generis: il catalogo. Il libro è un interminabile inventario di abiti che una madre compila da Parigi, catalogando i vestiti che ha lasciato alla figlia a Firenze. Il lungo elenco diventa uno strumento per ricucire il rapporto difficile con la figlia Corinne.
Ad aprire la presentazione, le parole del sindaco, Fabio Accardi, che ha ricordato il professore Pino Giunta, intellettuale barrese scomparso proprio in quella data. Poi il sindaco ha voluto affidare il paese nelle mani degli intellettuali, perché il paese più della politica ha bisogno di cultura.
Dopo il breve intervento del primo cittadino la parola è passata agli intervistatori, quindi, a Elvira Seminara che ha cominciato col raccontare la visione che sta alla genesi dell’opera: una catasta di abiti ammonticchiati nei cassonetti per la raccolta differenziata vicino a casa sua. Sugli abiti volava un gabbiano in cerca di cibo. È stata una folgorazione. “Quegli abiti non volevano morire” dice, “non erano ancora dei rifiuti”. Da lì, ci ha parlato del suo rapporto con gli oggetti molto vicino alla filosofia zen, secondo cui gli oggetti non sono cose inanimate da consumare e buttare ma hanno un’anima e vivono con noi, dobbiamo averne cura e trattarli con compassione. Questo modifica anche la concezione del rifiuto: Elvira Seminara ha una vera passione per le cose consumate tanto da definirsi una “Cantascorie” e, non solo in letteratura, perché lei è capace di trasformare e dare una nuova vita agli scarti, infatti realizza accessori e gioielli. Lunedì l’abbiamo vista indossare un albo di Diabolik che era diventato una “pochette” e un bracciale con delle graffette colorate. Tanti i riferimenti artistici e filosofici oltre allo zen, alla pratica giapponese del kintsukuroi, la Seminara ha citato il saggio di BodeiLa vita segreta delle cose e anche Boltanski e Kounellis che utilizzano la materia di scarto per realizzare le loro opere.

L’autrice poi ha soddisfatto le curiosità sulla forma particolarmente anti-narrativa, il catalogo. “Era una sfida – dice Seminara – pensavo che questo romanzo non l’avrebbe mai letto nessuno, o addirittura che non sarebbe stato pubblicato. Ma soprattutto questo libro voleva essere un omaggio a Italo Calvino.” Tra i riferimenti letterari anche Borges e Perec.
Non ha sorvolato la questione spinosa che attanaglia la letteratura contemporanea: il linguaggio. “Le parole, come gli oggetti, vanno usate perché, se non le utilizziamo cadono in disuso, e usarle è un compito che spetta principalmente agli scrittori.” Poi ha argomentato la scelta di ambientare la storia nel 1992 in un passato per l’Italia ancora analogico. Al catalogo di vestiti infatti si alternano delle cartoline in cui Eleonora racconta alla figlia la vita a Parigi. “Volevo che lo spazio e il tempo – continua la Seminara – avessero un loro peso che hanno perso con l’avvento della messaggeria istantanea”.
Elvira Seminara ha saputo incantare la platea con il suo modo pacato a raffinato di raccontare. I suoi interventi sono stati intervallati da momenti di lettura particolarmente intensi interpretati dall’artista ennese Cinzia Farina. È stato un evento che ha visto una partecipazione autentica da parte del pubblico: tanti interventi a fine presentazione e non solo; durante il firma copie tutti sono stati desiderosi di chiacchierare con l’autrice. In fondo quello di riunirsi attorno a qualcuno che racconta una storia è un rito che dà vita ad una magia, e le magie, si sa, vorremmo che durassero il più a lungo possibile.
GIUSEPPE MARIA RABITA




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