“La mossa del cavallo”, quasi 8 milioni hanno visto il film

“La mossa del cavallo”, quasi 8 milioni hanno visto il film

- in Barrafranca

l film tv diretto da Gianluca Maria Tavarelli con Michele Riondino ha totalizzato 7 milioni 886 mila spettatori ed è stato definito un “Western alla siciliana”, ed in effetti dai movimenti della camera, molti i primi piani alla Sergio Leone, ed in più di una occasione complice anche la colonna sonora, non sembrava di stare in Sicilia ma da qualche altra parte d’Italia ricca di verde e boschi e non di lande desolate. Il richiamo al mitico West si è concretizzato con il ronzio della zanzara in una giornata afosa, che infastidisce il personaggio impegnato a discutere e che la schiaccia con un colpo di mano a dimostrare quella zanzara morta come la soluzione al problema. Ma noi barresi, al netto dei validissimi contenuti, non abbiamo apprezzato che il Camilleri nella sua introduzione non abbia fatto mensione delle vere origini della vicenda dicendo che i fatti si erano svolti in un paese dell’agrigentino, cosa che sappiamo essere non vera, ma il maestro sarà stato sicuramente “frenato” o alla sua veneranda età comincia a perdere il senno, ma questo è normale e ci sentiamo di perdonarlo. D’altro canto pubblicizzare Barrafranca per un omicidio avvenuto alla fine dell’ottocento  non avrebbe certamente portato nulla di nuovo alla nostra comunità visto e considerato che Camilleri, o altro valido scrittore, può prendere spunti da fatti più recenti per arrivare fino ai giorni nostri, e non ne mancano di sicuro.

Ma vediamo in realtà come si sono svolti i fatti e per fare questo riportiamo il post dello stimatissimo scrittore barrese Salvatore Licata pubblicato in mattinata che riporta quanto lo stesso ebbe a scrivere nel 2013 in  “IL BRIGANTE GIUSTIZIERE”, BookSprint Edizioni 2013, pagg. 38-40



«Le due famiglie Vasapolli, quella di Andrea e quella dei fratelli birbanti, da antica data erano divise da una profonda inimicizia a causa di vecchie e non definite questioni di interessi, non ultimo la divisione del palazzo che abitavano. La potente, e prepotente, famiglia dei preti Vasapolli voleva il palazzo tutto per sé, mentre don Andrea pretendeva che lo stabile fosse diviso a metà. Non trovando un punto d’incontro, i potenti Vasapolli pensarono bene di trovare un punto di scontro: eliminare il cugino. E chi meglio di Eugenio avrebbe potuto commettere il delitto? Tra l’altro, la giovane età e la potenza economica gli avrebbero evitato una lunga condanna. Detto fatto. La mattina del 10 marzo 1876, Eugenio, prese il fucile e si portò in contrada Prito, dove il cugino Andrea aveva un appezzamento di terreno. Questi era arrivato nel proprio fondo verso le ore 9 del mattino, a cavallo di una giumenta. Appena giunto sul posto, non ebbe nemmeno il tempo di scendere dalla cavalcatura che venne attinto da due colpi d’arma da fuoco che lo fecero stramazzare a terra. A cavallo della propria giumenta, intanto, tale Francesco Costero, ventiquattrenne originario di Torino, verificatore di mulini, stava ritornando verso il paese, dopo aver fatto una verifica ai “Molini Moli”. Giunto nei pressi, sentì gli spari e, in lontananza, vide cadere giù dalla cavalcatura un uomo. Spronata la giumenta, si portò verso il luogo dell’agguato e cercò di soccorrere il ferito che, prima di morire, gli palesò il nome dell’assassino: Eugenio Vasapolli. Subito il Costero, denunciò l’accaduto ai reali carabinieri, alla famiglia e a quanti ebbe a incontrare lungo la via che portava al paese. Sul posto si recarono il comandante la stazione dei carabinieri Cincotini, ed alcuni militi per le prime sommarie indagini. Il giorno successivo, i carabinieri a cavallo della stazione di Piazza Armerina, nel corso delle indagini vennero a sapere da Alessandro Carnazzo, fu Benedetto, di anni 54, borgese, e da Filippo Branciforte, fu Salvatore, di anni 36, anch’egli borgese da Barrafranca, che cinque minuti prima della «tuonazione dello scoppio d’arma da fuoco», videro fermo sulla strada, e precisamente al bivio, certo Francesco Costero. Interrogato, il Costero confermò quanto dichiarato subito dopo l’accaduto ai carabinieri di Barrafranca e aggiunse, inoltre, che vicino al ferito c’era anche un certo Giuseppe La Loggia, di anni 14, contadino da Barrafranca. Sentito il ragazzo, questi ammise di essersi trovato lì nei pressi, ma di non aver visto nessuno, tranne che due ragazzi che pascolavano le mule ma che non ebbe modo di riconoscerli.
Proseguendo le indagini, i carabinieri riscontrarono che uno dei ragazzi indicati dal predetto La Loggia era Salvatore Infurno, fu Emanuele, di anni 12, originario di Terranova, il quale durante l’interrogatorio dichiarò che mentre il Vasapolli transitava dal bivio «vide uno che teneva una giumenta merlina e poco dopo udì le fucilate e successivamente vide quello della giumenta merlina che il medesimo cavalcava fuggire a tutta corsa verso al paese».
I carabinieri, notando una certa discrepanza tra le dichiarazioni del Costero e quelle del La Loggia e dell’Infurno, sospettarono il Costero quale autore dell’assassinio e lo trassero in arresto.
Da successive indagini, i carabinieri appurarono la veridicità delle affermazioni del Costero e i sotterfugi messi in atto dai fratelli Vasapolli, in particolare da don Salvatore, per allontanare i sospetti dal fratello. Ma ciò non riuscì a salvare Eugenio che, al termine delle indagini, fu accusato dell’omicidio.
Per questo reato, e per il reato di violenza carnale commesso in precedenza, Eugenio venne condannato, dalla Corte d’Assise di Caltanissetta, a 15 anni di lavori forzati, alle spese di giudizio e al risarcimento di lire duemila quale indennizzo alle parti lese».

foto di Ragusanews


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