BARRAFRANCA: “C’è bullismo nella nostra comunità?”

“C’è bullismo nella nostra comunità?”. Voglio partire da questa domanda retorica, che mi sono posta tante e tante volte, per affrontare una delle problematiche più spinose e attuali che affliggono gli adolescenti: “Il bullismo”.
Affrontare questo argomento è stato come scendere agli inferi, in un mondo di melma, in un marasma di atti persecutori, solitudine, disperazione e risalirne consapevoli che il fondo non è ancora stato toccato. Entrare a stretto contatto con questa realtà, in cui l’impossibile diventa possibile, dove il male diventa bene, ti cambia il modo di vedere la vita. E sì… per rispondere alla domanda iniziale, nella nostra comunità c’è e ne dobbiamo prenderne atto.

Quasi per caso mi sono imbattuta in questo “mondo alla rovescia”, in cui ragazzi e ragazze mi raccontavano di vicende sconcertanti, di comportamenti oppressivi, che spesso rasentavano l’assurdo. Non è stato facile per loro parlarne e per me ascoltare, ma ci siamo riusciti. Da qui l’idea di pubblicare questo articolo che vuole essere d’informazione su ciò che accade nella nostra comunità.
La fascia d’età colpita è quella che va dai 11/12 ai 16/17 anni, la più delicata dove il ragazzo si prepara a diventare adulto. Le vittime sono quei ragazzi considerati “diversi” o per l’aspetto fisico: modo di vestire (non tutti si vestono alla moda o di marca) o per i chili di troppo; o per status sociale (non tutti hanno gli strumenti informatici che caratterizzano la nostra società, non tutti guidano dei motorini modificati, non tutti si ubriacano) o per le inclinazioni personali (essere timidi, effeminati, etc.). L’identikit dei bulli è molto più complesso: comportamento aggressivo verso gli altri, sia adulti, sia coetanei, falsa sicurezza, rabbia innata. Spesso si pensa che un bullo sia un ragazzo con uno status sociale basso, ma non sempre è così. Sono ragazzi disagiati che esprimono la loro rabbia, il loro malessere “sociale” verso chi non rispecchia o non si adatta alla “loro visione della vita”. “Diverso”; “Cogli…”; “Ritardato”; “Mer… umana”. Sono questi alcuni degli epiteti che la vittima di bullismo si sente ripetere in un tam-tam quotidiano che ha lo scopo di sottometterla, ridicolizzandola agli occhi degli altri. La lista degli insulti sarebbe troppo lunga e sconcertante per continuare. Spesso dagli insulti verbali, si passa alle minacce fisiche (spinte, calci, pugni), che comportano conseguenze sociali (esclusione, pettegolezzi) e alle violenze online (cyberbullismo).

Quando incontri un ragazzo bullizzato ti trovi davanti, metaforicamente parlando, “un piccolo uomo”, un essere umano solo, “accartocciato su se stesso”, alla ricerca di un modo per vivere. Solitudine, angoscia, rabbia, inadeguatezza sono alcuni dei sentimenti che attanagliano il cuore di chi si trova in un vortice di violenze, da cui non è facile uscirne. Bassa autostima, depressione, ansia, disturbi del sonno, problemi scolastici, isolamento sociale. Sono solo alcune delle conseguenze che sono emerse durante i nostri incontri. “Perché proprio a me!”, “Cosa ho fatto di male…”, “Mi sento solo e nessuno mi aiuta!”. Queste sono alcune delle riflessioni che sono emerse durante i nostri dialoghi, fatti spesso di silenzi, di lacrime, di letture di chat deliranti. Ho detto loro di aprirsi con i genitori, di chiedere aiuto ai professori, alle forze dell’ordine. Ma niente! La paura di essere giudicati e non compresi è più forte di qualsiasi richiesta di aiuto. Poi c’è chi, pur di sopravvivere, si adatta, si avvicina ad un mondo che non è il suo, segue la massa. Purtroppo, questo adattamento a volte porta a conseguenze irreparabili. Solo uno su dieci è riuscito a superare il problema, grazie all’intervento di genitori e amici che l’hanno affrontato insieme a loro. Quello che più mi ha colpito e, tra virgolette, fatto male sono le conseguenze psicologiche che rimangono sulla pelle di questi ragazzi.

Stiamo vicini ai nostri ragazzi in qualità di genitori, educatori, anche semplici cittadini. Sono il nostro futuro… Non mettiamo la testa sotto la sabbia, facendo finta che tutto vada bene, ammettiamo a noi stessi che il problema c’è e dobbiamo affrontarlo. Io continuerò a farmi portavoce dei loro disagi, del loro “inferno”, del loro dolore.
Riporto un’interessante intervista al conduttore televisivo Paolo Bonolis: “Oggi con gli smartphone le persone narrano chi vorrebbero che gli altri vedessero di loro stesse, ma non fanno un caz… per esserlo. L’importante è narrarsi come vorresti che gli altri ti vedessero. E quindi viviamo di una narrazione invece che di una esistenza”. Concludo, ripondendo alla domanda iniziale, “C’è bullismo nella nostra comunità.” (foto web) RITA BEVILACQUA