Siciliani e Sicilianità- li ZORBI siciliani e l’antico detto “Cu lu tempu e cu la pagghia maturano li zorbi”

Siciliani e Sicilianità- li ZORBI siciliani e l’antico detto “Cu lu tempu e cu la pagghia maturano li zorbi”

Durante una conversazione con un carissimo amico, amante delle tradizioni barresi e siciliane, esce fuori un’antico detto siciliano, conosciuto anche a Barrafranca: “Cu lu tempu e cu la pagghia maturano li zorbi” (col tempo e con la paglia maturano le sorbe), volendo con ciò indicare che certe decisioni hanno bisogno di tempo per “maturare”.

Cosa sono questi zorbi e da dove deriva il detto?

Nonostante sia antica come è antico il mondo, la pianta dei zorbi siciliani “il sorbo”, nome scientifico Sorbus domestica, è poco conosciuta. E’ un albero originario dell’Europa Meridionale, assai diffuso dalla Spagna alla Crimea e dalla Crimea all’Asia Minore. Sporadicamente cresce in Italia, così come in Sicilia, noto come “pedi di zorbi”.

Grazie al botanico svedese Carl von Linné nel 1758 il  sorbo siciliano fu inserito nel Systema Naturae come “sorbus domestica”. Questa pianta si trova nei boschi e nelle radure, anche se alcuni esemplari possono essere coltivati nei giardini. Può raggiungere i 20 mt. . di altezza e i fiori sono ermafroditi e presentano un colore biancastro, riuniti in corimbi cupoliformi. All’inizio dell’autunno sono sostituiti da pomi di forma tondeggiante o piriforme. Le sorbe diventano commestibili solo quando sono molto mature. Ne esistono diverse varietà: c’è la “sorba-mela” rossa, grossa, meno aspra delle altre; quella “a pera” o “a zucchetta” di colore bianco o rosso pallido. Si raccoglie in settembre ottobre.

Per l’ uso alimentare si dispongono su uno strato di paglia ad ammezzire: dopo alcune settimane assumono un colore bruno e divengono commestibili. Da qui deriva il  vecchio detto: “cu lu tempu e cu la pagghia maturano li zorbi”. Il legno di colore rosso scuro, pesante, duro è usato in agricoltura per la costruzione di utensili, pali, paletti, ecc., ed è anche ricercato dai tornitori e dagli incisori per opere di pregio.

I frutti hanno proprietà diuretiche, astringenti, antinfiammatorie, lenitive. In questo caso, è consigliabile utilizzare frutti ancora più acerbi. Questa capacità medicinale deriva dal fatto che possiedono dei principi attivi, sostanze peptiniche e tanniniche, acidi organici (specialmente acido sorbico, malico, citrico e tartarico), sorbitolo (o sorbite)

Nelle leggende popolari la sorba matura è considerata un portafortuna. Anticamente i contadini  piantavano piante di sorbo vicino casa, convinti che tenessero lontano gli spiriti maligni. Anche consegnare alcuni frutti ancora acerbi è di buon auspicio. Tutto merito delle sue intense e brillanti sfumature rosse che si credeva avessero la magica virtù di allontanare povertà e miseria. E ancora oggi i boschi di sorbo sono ritenuti propizi per la caccia, perché riserva di abbondante selvaggina.

I Romani apprezzavano la tenerezza e la dolcezza della sorba, soprattutto nella preparazione di liquori. Ce ne parla Virgilio nelle “Georgiche” dov’è illustrata l’usanza di far fermentare questo frutto col grano, ottenendo la “cerevesia”, una bevanda alcolica simile al sidro.

Il sorbo era un albero sacro per le popolazioni celtiche che lo piantavano ovunque per proteggere le case e lo ritenevano una manifestazione terrena dell’altro mondo. Sia i Celti che i Germani consideravano il suo frutto, al pari della mela, nutrimento degli dei e amuleto contro i fulmini e i sortilegi: appenderne un ramo fruttifero sull’uscio di casa ne assicurava la protezione. Ricavata dal sorbo era anche la “mano di strega”, una sorta di bacchetta da rabdomante per trovare i metalli preziosi. Pare che i druidi, prima di una battaglia, accendessero fuochi con il legno di sorbo e pregavano chiedendo agli spiriti di partecipare alla battaglia. Nei paesi nordici il sorbo, oltre ad essere usato per fabbricare i bastoni dei pastori, serviva anche per proteggere il bestiame dalle epidemie.

Rita Bevilacqua

 

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