Riti e usanze della pasqua ebraica. Protagonisti gli alunni della Don Milani

Riti e usanze della pasqua ebraica. Protagonisti gli alunni della Don Milani

La pasqua ebraica con riti e usanze. Ha riscosso successo, in occasione delle festività pasquali, l’attività del progetto scolastico Pof, svolto dagli alunni della scuola media, classe I C, dell’istituto comprensivo “San Giovanni Bosco” nel plesso “Don Milani” alla presenza di alunni genitori e docenti e della dirigente Perricone. L’attività degli alunni delle classi prime, seconde e terze della scuola media prevede non solo la riscoperta della pasqua ebraica, cristiana e barrese ma anche le tradizioni in Gran Bretagna, Francia e Germania. A coordinare il tutto per la pasqua ebraica le tre docenti Gina Patti, Concetta Ciulla e Cristina La Monica mentre per gli altre attività di oggi saranno coordinate da Rina D’Angelo, Cristina La Monica, Marilena Zarilli, Maria Grazia Cilano e Concetta Patti. Le attività hanno registrato il contributo volontario di una studiosa di tradizioni popolare come Rita Bevilacqua, la quale ha tenuto degli incontri agli alunni sulla settimana santa barrese. Intanto ieri mattina la pasqua ebraica (Pesah), ha rimarcato come i riti sono differenti a quella cristiana, ed assume un significato diverso dato che coincide con la liberazione del popolo ebraico. La pasqua ebraica si svolge in famiglia e in questo periodo sono banditi i cibi lievitati assumo importanza simbolica l’uovo, la salsa Charoset, l’agnello e le erbe aromatiche. “ Questo è un esempio di buona scuola – afferma la dirigente Perricone – perché si privilegiano le qualità e le attitudini degli alunni nonostante le poche risorse disponibili”. Questi gli alunni della 1 C che hanno interpretato la pasqua ebraica: Rosetta Barrafranca, Iris Bilardi, Giulio Blanda, Elvira Bonaffini, Pia Bonanno, Antonio Bulla, Filippo Centonze, Sefora Cirillo, Gabriella Crapanzano, Emanuele Cravotta, Federica Cumia, Gianluigi Flammà, Giusy Giuliana, Magda Giunta, Francesco Lanza, Marta Mancuso, Alessandro Paternò e Sabrina Pilumeli. Gli alunni della I C hanno dedicato il loro tempo allo studio della pasqua ebraica per ricordare e rivivere una tradizione simile, perché tra poco celebreranno la Pasqua di Gesù, <<la nostra Pasqua>>, e per comprendere meglio il significato del dono dell’Eucaristia che Gesù ha fatto alla sua Chiesa, cioè ai battezzati, durante la sua ultima cena di Pasqua. Un connubio tra riti religiosi e usanze, anche se diverse, ma importanti per ricollegarsi alla storia del popolo d’Israele, il popolo che Dio si era scelto, guidandolo con amore e fedeltà. Questi alcuni passi importanti che descrivono la Pasqua ebraica. Il popolo ebreo onorava e ringraziava il Signore per tutti i benefici che aveva ricevuto da lui, con una festa settimanale, nel giorno di Sabato, e con altre durante tutto l’anno; ma la più importante fra queste era la Festa di Pasqua.  La festa di  Pasqua è una delle celebrazioni più importanti della religione ebraica, perché ricorda l’esodo del popolo israelita dall’Egitto e la nascita d’Israele in quanto popolo. In modo più ampio, è la festa della libertà e della fine della schiavitù. Le origini della Pesah, Pasqua ebraica, risalgono, probabilmente, alla festa pastorale che veniva praticata nel Vicino Oriente dai popoli nomadi per ringraziare Dio. I festeggiamenti pastorizi erano legati anche alla “festa del pane non lievitato” – mazzot. Dopo la liberazione del popolo ebraico, fuggito dall’Egitto guidato da Mosè, la Pasqua ebraica assunse un diverso significato. Mosè, come è scritto nel dodicesimo capitolo dell’Esodo, programmò la fuga del suo popolo. Tutti gli ebrei uccisero un agnello di un anno, consumarono il pasto in piedi con il bastone, pronti per la partenza, e segnarono con il sangue dell’animale le porte delle abitazioni. Così facendo tutti i primogeniti ebrei si sarebbero salvati dall’angelo inviato da Dio. Ancora oggi la Pasqua ebraica, che inizia con il plenilunio di marzo e dura per otto giorni, è celebrata seguendo antichi riti. Durante questi otto giorni tutto gli ebrei ricordano la liberazione dalla schiavitù del proprio popolo dalle vessazioni egiziane e l’inizio di un viaggio lungo 40 anni alla volta della terra promessa. La celebrazione della Pasqua coinvolge tutti i familiari con la lettura dell’Haggadà – libro della leggenda. In questo periodo, inoltre, sono banditi i cibi lievitati e per questo si mangia esclusivamente il pane azzimo. Infatti, gli Israeliti, anticamente un popolo nomade, a causa di una grave carestia, si rifugiarono in Egitto e lì rimasero per molto tempo. Dio ascoltò i loro lamenti ed esaudì le loro preghiere inviando Mosè a liberarli, il quale, secondo le indicazioni date da Dio, ordinò agli Israeliti di tenersi pronti per la partenza per uscire dall’Egitto ed avviarsi verso la terra promessa. Quella sera, prima della partenza, ogni famiglia della comunità di Israele uccise un agnello; con il suo sangue segnò la porta della propria casa, ne mangiò la carne insieme a del pane non lievitato ed erbe amare. Gli Ebrei celebrano la Pasqua, in primavera, riuniti nelle loro case, in gruppi di 12 e non più di 20 persone, con la cena pasquale che dura dal tramonto fino alla mezzanotte e oltre. E’ un momento solenne, durante il quale essi raccontano gli avvenimenti della liberazione e con preghiere, canti, segni e simboli ringraziano il Signore Dio per il suo intervento in loro favore, e per rinnovare l’alleanza e l’amicizia con Lui, chiedendogli anche di continuare a guidarli e a proteggerli. La tavola, durante la festa, è ricca di cibi simbolici: le erbe amare che ricordano la sofferenza del popolo ebraico, il pane azzimo, l’agnello arrostito, le erbe rosse, un uovo che simboleggia la vita e la salsa charoseth, un miscuglio di noci, fichi, melograni, datteri, mele e vino rosso. che rappresenta i mattoni di argilla fabbricati dagli schiavi ebrei in Egitto. Questo rito inizia con la recita della preghiera di benedizione a Dio sulla prima coppa di vino. Il capo-famiglia che presiede, riempie la prima coppa di vino, la innalza e recita il Qiddush, o preghiera di benedizione a Dio su questa prima coppa. Questa coppa ha un significato ebraico ben preciso: è la coppa che inaugura la notte, inaugura la festa, è la coppa di santificazione, di benedizione e di glorificazione a Dio per la festa che ha concesso. In questa celebrazione il più piccolo della famiglia chiede spiegazioni ed il padre risponde alle sue domande. 1) «Perché mai questa sera è diversa da tutte le altre sere?» Noi eravamo schiavi del Faraone in terra d’Egitto, ma il Signore nostro Dio con mano forte e braccio potente ci ha fatto uscire da lì e ci ha con-dotto in questo paese ordinandoci di celebrare questo giorno di generazione in generazione. 2) Perché questo pane azzimo? Questo pane non lievitato ricorda la fretta della partenza, quella sera infatti la pasta dei nostri Padri non ebbe il tempo di lievitare perché la fuga era imminente. 3) «Perché queste verdure amare?» Queste verdure, che si mangiano con il sale, l’aceto e il charoset, sono un ricordo della tristezza e della sofferenza della schiavitù in Egitto.  Colui che presiede, il padre, prende un pezzo di sedano, lo intinge nell’aceto o nell’acqua salata e dice: Benedetto sii Tu, o Signore nostro Dio, re dell’universo. Tu che crei il frutto della terra. Dopo aver mangiato, lo distribuisce ai commensali, i quali recitano la stessa benedizione. 4) «Perché questa salsa?» Questa salsa, per il suo aspetto denso ci richiama alla mente il cemento e la malta che gli Israeliti dovevano preparare insieme ai mattoni, per costruire le città degli Egiziani. 5) «Ma mangiavano sempre anche l’agnello?» Sì, perché la notte della liberazione i nostri padri, oltre a mangiare l’agnello, col suo sangue segnarono le porte e gli stipiti delle case, così l’angelo del Signore vedendo quei segni, passò oltre risparmiando il popo-lo d’Israele dal castigo di Dio. 6) «Perché c’è anche l’uovo?» L’uovo sodo è stato aggiunto più tardi ed è un ricordo dell’offerta che veniva fatta ad ogni festa, inoltre esso contiene il germe della vita e la sua superficie è simbolo dell’eternità della vita stessa, senza inizio e senza fine. 7) «Perché queste cinque coppe?» Queste coppe non furono usate la notte della liberazione; furono usate successivamente per celebrarne il ricordo. Le prime quattro indicano le quattro espressioni della liberazione dalla schiavitù: “Vi farò uscire”; “Vi salverò”; “Vi libererò”; “Vi prenderò”. La quinta coppa con l’espressione “Vi condurrò” è segno di un’altra liberazione, quella messianica, di cui essi sono ancora in attesa. L’iniziativa si è conclusa con un canto di pace “Evenu Shalom areche”. Intanto nello stesso plesso della Don Milani gli alunni della 1 B e con le docenti Rita D’Angelo, Maria Cristina La Monica e Marilena Zerilli hanno illustrato i riti e le tradizioni locali con la presentazione de “U Trunu” e la domenica di Pasqua con “A Giunta”.

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